Giordano Bruno

La visione del cosmo
Una grande personalità filosofica nel periodo rinascimentale fu Giordano Bruno, artefice della moderna concezione dell'infinito. Egli si oppose alla tradizione aristotelica e affermò che l'universo è uno spazio infinito, costituito da infiniti mondi. Egli pensa che l'universo abbia una causa e un principio primo infinito: la mente è al di sopra di tutto (mens super omnia) e si identifica con Dio stesso; da quest'ultimo deriva solo un effetto infinito, ossia un cosmo con le caratteristiche dell'infinità. Dio è anche la mens insita omnibus (la mente in tutte le cose), il principio razionale nel mondo e quindi "anima del cosmo", che contiene tutte le idee e che, dall'interno, plasma la materia specificandola negli infiniti esseri che la compongono. Forma e materia, idee e cose, risultano non sostanze separate, ma aspetti dell'unica sostanza universale e infinita rappresentata dalla natura divina.
Questa può essere considerata una visione panteista, in cui Dio coincide con la natura nella sua totalità e senza limite. Secondo Bruno, inoltre, la ragione umana non può cogliere Dio quale principio trascendente, cioè come mens super omnia.

La dissoluzione della cosmologia aristotelica
Secondo Bruno, lo spazio non è solo infinito, coincidendo con l'infinità creatività della natura divina, ma contiene infiniti mondi. In tale universo, "tutto è centro e periferia al tempo stesso" e ogni stella può essere un sole al centro di altri universi. L'essere è infinito e non può essere delimitato da nulla.
Una conseguenza significativa di questa concezione dell'universo è che la Terra e l'uomo sembrano non occupare più quel posto privilegiato che la tradizione aveva assegnato a loro. Sono quindi tesi molto rivoluzionarie a quell'epoca, in quanto mettono in repentaglio l'intera visione della Chiesa e di Aristotele.

L'esaltazione della tecnica e dello spirito d'iniziativa dell'uomo
L'uomo, secondo Bruno, è un essere naturale e divino, in quanto partecipe del processo creativo di Dio e lo esalta nell'opera "Lo spaccio della bestia trionfante", in cui afferma che l'uomo abbia assunto le capacità di contemplare e trasformare il mondo dagli dei. La differenza quindi tra uomo e altri esseri animali, è che l'uomo possiede l'intelletto e le mani, con cui può manipolare e trasformare la materia. Con Bruno quindi, la dignità dell'uomo non è affidata soltanto alla forza dell'intelligenza, ma anche al lavoro manuale, che costituisce la causa ultima grazie alla quale l'uomo si è allontanato dalla condizione bestiale per avvicinarsi a quella divina.

Il desiderio di conoscenza e l'unione con la natura
L'esaltazione dell'uomo come parte e manifestazione dell'unica sostanza naturale e divina, viene espressa nella sua opera "Degli eroici furori" (1585). In essa, il filosofo, immagina che l'uomo, insoddisfatto dell'amore carnale, si innalzi all'amore totale della natura. L'uomo innamorato è paragonato da Bruno  al giovane cacciatore Atteone, che avendo spiato Diana (dea della caccia) nuda, viene per punizione trasformato in cervo, divenendo da predatore preda. Quindi l'uomo che si lascia prendere dall'"eroico furore", cioè dall'ardente desiderio della conoscenza, e si sottrae ai desideri bassi e volgari, alla fine diviene egli stesso oggetto, ossia natura. 
Bruno dunque celebra la natura come il vertice della conoscenza e dell'amore umano, ma anche come impulso vitale.

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