Socrate

Socrate e la cultura del dialogo

Il contesto in cui vive e opera Socrate
La sofistica, con il suo relativismo, eliminò definitivamente le antiche certezze. Questo produsse un diffuso malcontento presso le classi conservatrici, che quindi cominciarono a guardare con ostilità non solo i sofisti, ma anche l'insieme dei filosofi e alla nuova classe politica formatasi alla luce delle loro dottrine. E' in questo difficile clima che vive e opera Socrate, il quale da un lato si propone di combattere le posizioni relativiste della sofistica, dall'altro deve subire l'ostilità delle classi conservatrici che assimilavano in modo superficiali la sofistica.
Un esempio di tale diffidenza verso la filosofia è dato dalla commedia "Le nuvole di Aristofane" (450-385 a.C.), in cui Socrate è rappresentato come un personaggio strano, che fa inutili ricerche di carattere naturalistico e che, giocando con le parole, crea complicati concetti nella sua scuola, il "pensatoio". Alla fine della commedia, un cliente deluso, in quanto non ha appreso nulla da Socrate, né conoscenze e né una nuova arte, si libera dei filosofi. Socrate venne poi condannato a morte dal tribunale di Atene nel 399 a.C. 

Una figura straordinaria
Socrate non scrisse nulla, quindi non lasciò alcuna testimonianza di sé, perchè preferiva il contatto immediato con le persone, in particolare con i giovani.
Sulla sua figura e sul suo pensiero abbiamo però moltissime testimonianze indirette, tra cui quelle di Platone, suo discepolo. Nei "Dialoghi" di Platone, le idee e la personalità di Socrate sono esposte dettagliatamente. Socrate è anche protagonista in molti altri scritti, detti "Discorsi socratici" (di Eschine, Antistene, Senofonte), in cui si possono trovare notizie sulla vita e sul pensiero di un uomo che doveva essere visto come una figura fuori dall'ordinario.
Da queste opere dunque possiamo ricavare una notevole quantità di informazioni su Socrate, a partire dall'aspetto fisico (era basso, con la pancia grossa, gli occhi fissi e sporgenti, ma aveva un animo eccezionalmente nobile e bello, coraggioso e forte) per continuare con l'esposizione del pensiero e la descrizione di una vita dedicata all'educazione dei giovani e alla riflessione.

Il processo e la condanna di Socrate
Finito il governo illuminato di Pericle, la città dovette subire la dittatura dei Trenta tiranni e, alla loro caduta, il ritorno di un governo democratico. Socrate fu condannato quindi in una fase di crisi della politica e della democrazia, in cui il popolo avvertiva come una grave minaccia le istanze critiche di un personaggio popolare come lui. 
Fu accusato e riconosciuto colpevole di non onorare gli dei della sua città, anzi di aver importato nuove divinità, e di aver corrotto i giovani.

La morte come emblema di coerenza spirituale
La sua morte fu in un certo senso il sigillo estremo della sua grandezza spirituale. Se, infatti, egli si fosse mostrato meno deciso nel ribadire di fronte al tribunale le sue tesi, la sentenza probabilmente non sarebbe stata emessa. Inoltre è significativo il modo in cui egli affrontò la situazione: la condanna fu eseguita soltanto dopo un mese e durante questo periodo trascorse serenamente in carcere in attesa, conversando con gli amici e rifiutando di evadere. L'ultimo giorno, dopo essersi lavato per giungere puro all'ora decisiva, bevve con serenità la cicuta.
La morte di Socrate quindi può essere interpretata come l'atto conclusivo di un'esistenza vissuta all'insegna del rigore morale e del perfezionamento interiore.

Una vita dedicata alla ricerca
L'opera del giovane Platone, "Apologia di Socrate" (395 a.C.), comincia con il responso dell'oracolo di Delfi, che indica in Socrate l'uomo più saggio e che suscita nel filosofo perplessità e imbarazzo, nonché di capire i motivi di tale giudizio. Socrate inizia la sua ricerca recandosi presso gli uomini che avevano fama di grande sapienza. Prima presso un uomo politico molto importante. Si intrattiene con lui in una serrata conversazione, giungendo infine a comprendere che quest'uomo, pur ritenendosi saggio, non lo era affatto. Socrate allora si rivolse ai più stimati poeti e, anche se ognuno di essi conosce qualcosa della propria arte, ignora tutto il resto, pur considerandosi sapientissimo. Socrate quindi è il più saggio perchè sa di non sapere, mentre gli altri non hanno questa consapevolezza e anzi spesso si vantano di sapere ogni cosa.
Egli dunque si sente investito di una missione divina: scuotere gli uomini dal loro torpore spirituale.

La necessità di definire i termini
Socrate mette dunque in crisi coloro con cui dialogava, insinuando in loro il dubbio e quell'attitudine tipica della filosofia a chiedersi sempre "che cosa è ciò" e "perchè questo". In particolare, Socrate insegnava a non accettare mai idee o giudizi senza prima essersi interrogati a fondo sul loro significato. Il suo intento quindi fu da un lato quello di dimostrare che coloro che si reputavano sapienti non lo erano affatto, in quanto non conoscevano in profondità quello di cui parlavano, dall'altro quello di arrivare a una definizione soddisfacente dell'argomento trattato, che consentisse un accordo linguistico e concettuale tra gli interlocutori.

Il metodo socratico
Il metodo adottato da Socrate consisteva in due momenti fondamentali: uno critico e "negativo", l'ironia; l'altro costruttivo e "positivo" la maieutica.
L'ironia= dialogando con i suoi interlocutori, Socrate chiedeva loro di pronunciarsi su un particolare tema e ascoltando la risposta, mostrava di accettarla come valida. Egli dichiara di non conoscere l'argomento in questione. Poco per volta però, attraverso le varie definizioni proposte, risultava chiaro che anche l'interlocutore, al pari di Socrate, non sapeva realmente che cosa fosse ciò di cui parlava o non possedeva una conoscenza completa. Ecco che la "maschera" dell'interlocutore, assunta da Socrate, si rivelava lo strumento più efficace per mettere a nudo l'ignoranza altrui.
La maieutica= il suo fine era quello di far capire quanto fosse importante ricercare sempre e incessantemente la verità, senza mai accontentarsi di formule scontate e superficiali.
Socrate riteneva che ognuno dovesse sforzarsi ad individuare e sviluppare dentro di sé i germi della verità. Per spiegare questo, ricorreva a un paragone della sua esperienza familiare e affermava di svolgere lo stesso mestiere della sua mamma Fenarete, che era una levatrice, con la differenza che egli aiutava a partorire le idee. Per questo il suo metodo veniva definito "maieutico", cioè arte della levatrice.

La virtù è conoscenza
Socrate afferma che chi conosce il bene non può comprendere il male, ritenendo che la virtù morale derivi dalla retta consapevolezza del bene. Socrate doveva essere una persona rigorosa ed equilibrata, che molto probabilmente era arrivato ad una stadio di perfezionamento psicologico e morale tale da non avvertire il conflitto tra la ragione e gli istinti. E' proprio per la sua integrità morale che Socrate può sostenere che la virtù è conoscenza, un sapere compiuto come continua ricerca e riflessione su ciò che è bene fare per se stessi e per la comunità.
Ogni singola qualità umana, il coraggio, l'audacia, la forza, può essere considerata virtù solo in relazione alla particolare circostanza in cui si esplica, ed è la ragione che permette di discernere il bene del momento. La virtù però è anche insegnabile, in quanto coincide con la scienza del bene e del male, cioè con la pratica del ragionamento che ci rende in grado di capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Essa diventa l'obbiettivo principale della filosofia intesa come realizzazione condivisa di quella ricerca razionale che può illuminare e guidare le azioni degli uomini. 

La cura dell'anima
Secondo Socrate la "psiche" è l'anima, cioè la vita interiore, centro dell'agire morale. Per Socrate l'anima è la dimensione più profonda dell'uomo: guardando nell'anima l'uomo scopre ciò che è veramente bene fare: questo è il significato del motto "conosci te stesso", iscritto sul tempio di Apollo a Delfi, che Socrate assume come emblema della propria filosofia.
Socrate diceva di sentire nella sua anima la voce di un demone, il quale nei momenti decisivi della vita, lo metteva in guardia da quello che doveva evitare: tutto ciò viene spiegato nell'"Apologia".
Egli vede quindi nella cura dell'anima la più importante delle attività umane, per il semplice motivo che è l'anima ciò che qualifica l'uomo come tale. L'azione malvagia, andando contro la voce del demone, rende l'uomo malvagio e infelice. La conclusione socratica è che il vero male non è la morte del corpo, ma la morte dell'anima.

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