La fisica, Dio e l'anima

La fisica come scienza teorica
Per Aristotele lo studio del mondo fisico è parte delle scienze teoriche (insieme alla matematica e alla filosofia), che rappresentavano il vertice a cui può giungere la conoscenza degli uomini.
La fisica aristotelica è qualitativa, ovvero che tiene conto delle proprietà essenziali di ogni sostanza e stabilisce una differenza qualitativa tra gli elementi, e finalistica, in quanto coglie una finalità nei singoli processi dell'universo; essa inoltre nega ogni valore alla matematica applicata in natura.
La Fisica e la Metafisica sono due importantissime opere di Aristotele e i temi fondamentali che trattano sono: la dottrina delle quattro cause, i diversi tipi di movimento presenti nell'universo, l'immagine del cosmo, la concezione di Dio e dell'anima.


La teoria delle quattro cause
La fisica aristotelica si occupa delle sostanze che mutano e si trasformano ed è pertanto una teoria del movimento. Aristotele quindi spiega il divenire mediante le nozione di "atto" e "potenza": ogni sostanza possiede delle qualità potenziali che, attraverso un processo di trasformazione, possono realizzarsi pienamente e raggiungere la forma atto. Dunque ogni trasformazione, ossia ogni passaggio dalla potenza all'atto, richiede delle particolari condizioni e determinate cause. Aristotele giunge quindi ad elaborare una spiegazione dei fenomeni, riconoscendo all'origine di ognuno di essi quattro tipi di cause:
  1. causa materiale= la materia di cui una cosa è fatta (ad esempio il legno con cui è fatta una sedia)
  2. causa formale= la forma, l'essenza, ciò che fa sì che una cosa sia proprio quella cosa e non un'altra (ad esempio l'idea, il progetto del falegname che costruisce la sedia)
  3. causa efficiente= la forza che genera un mutamento, sia agendo dall'esterno, come nel caso della spinta inferta a un corpo, sia agendo dall'interno, come nel caso di una decisione o di un'azione (ad esempio il lavoro dell'artigianato)
  4. causa finale= lo scopo per il quale il processo avviene (ad esempio il guadagno se una sedia viene venduta o il suo utilizzo per sedersi)
Nei processi naturali la causa formale, la causa efficiente e quella finale si presentano unificate e dunque le cause si riducono a due: il fiore è nello stesso tempo la forma, la causa efficiente (perchè si sviluppa da sé) e il fine della trasformazione del seme.
Nei processi artificiali esse sono separate: in una scultura la causa materiale è la materia utilizzata, la causa formale è l'idea dell'artista, la causa efficiente è la sua attività, il fine è l'espressione artistica...


L'ordine finalistico dell'universo
Dall'attenta osservazione dei fenomeni naturali, Aristotele afferma che nulla, nella natura, è governato dal caso o dalla pura necessità meccanica. Questa concezione avvicina il filosofo in un certo senso a Platone, il quale riteneva che se l'uomo ha la posizione eretta, ciò dipende dal fatto che tale conformazione gli consente un punto di osservazione privilegiato. A differenza di Platone però Aristotele ritiene che il fine sia inscritto nella natura stessa delle cose. Si tratta quindi di una visione dell'universo che si può definire teologica, in quanto crede in un ordine finalistico e necessario.


La teoria del movimento
Per Aristotele esistono quattro tipi differenti di movimento:
  1. movimento sostanziale= consiste nella generazione e nella corruzione: Socrate nasce (generazione), Socrate muore (corruzione)
  2. movimento qualitativo= rappresentato dal mutamento o dall'alterazione
  3. movimento quantitativo= consiste nell'aumento e nella diminuzione
  4. movimento locale o traslazione da un luogo all'altro= movimento fondamentale, in quanto tutti gli altri derivano da esso ed è a sua volta distinto in tre forme:
  • movimento circolare intorno al centro del mondo
  • movimento dall'alto verso il centro
  • movimento dal centro verso l'alto
E' in base alla natura del loro movimento che Aristotele classifica le varie sostanze fisiche: il fuoco e l'aria, che si muovono dal centro verso l'alto; l'acqua e la terra, che si muovono dall'alto verso il centro del mondo. La differente dislocazione degli elementi dipende dal loro peso: l'elemento più pesante è la terra, che sta al centro del mondo, intorno si pongono le sfere degli altri tre elementi più leggeri, nell'ordine l'acqua, l'aria e il fuoco. Oltre la sfera del fuoco vi è la prima sfera celeste, il cielo della luna, e quindi le successive, fino al cielo delle stelle fisse.
Se un elemento viene allontanato dal suo luogo naturale, a causa di qualche agente esterno che modifica la situazione, esso tende a ritornare nella condizione di partenza.


La visione del cosmo
Il cosmo aristotelico è compatto e ordinato: non presenta spazi vuoti, è finito e compiuto, ha un centro, un alto e un basso come tutte le cose dell'universo e pertanto ha anche un confine e un limite rappresentato dal cielo delle stelle fisse. La Terra è al centro dell'universo aristotelico ed è sferica, immobile, circondata dall'atmosfera sublunare.
L'universo aristotelico presenta dunque un dualismo tra mondo celeste e mondo terrestre, fondato proprio sulla teoria del movimento: il mondo celeste è composto di etere (cinquantacinque9, una sostanza ingenerata che si muove solo con un movimento circolare senza inizio e senza una fine e dunque perfetto; il mondo terrestre è composto dai quattro elementi fondamentali, è soggetto al movimento locale rettilineo (dall'alto verso il basso e viceversa) ed è passibile di generazione e corruzione.
Nel suo insieme la vita dell'universo è eterna, in quanto non ha avuto principio e non avrà fine ed eterne sono le specie che in esso vivono (in particolare quella umana). Lo sviluppo della vita umana individuale segue il ritmo della nascita, maturazione, corruzione e morte e i cicli si ripetono incessantemente, scanditi dal trascorrere del tempo.


La concezione di Dio
Dio è la sostanza immutabile ed eterna che, secondo Aristotele, causa il movimento dell'universo. Egli parla di tale entità divina sia nell'ultimo libro della Metafisica sia nella Fisica, affermando che non si tratta né di una "persona", né di un "ente assoluto" o "buono", che ama il mondo e con la propria volontà provvede a regolarlo secondo un piano provvidenziale. Il Dio di Aristotele non si identifica con quello delle religioni monoteiste. Secondo lui è il principio supremo dell'universo, la spiegazione ultima del movimento e del cambiamento.
Ecco le argomentazioni del filosofo su tale principio:
Le sfere celesti sono caratterizzate da un movimento perfettamente circolare, continuo, senza inizio e senza fine (eterno). Sulla base dei concetti della metafisica, sappiamo che ogni mutamento, inteso come passaggio dalla potenza all'atto, presuppone l'esistenza di una forza in atto che ne presenta la causa.
Ne consegue che, per evitare un interminabile rinvio da una causa all'altra, deve esserci necessariamente una sostanza prima, eterna, non soggetta al cambiamento o al mutamento e dunque immobile, che può imprimere il primo movimento all'universo. Tale sostanza è Dio, il primo motore immobile.
Ecco le caratteristiche che Aristotele attribuisce a Dio:
Dio deve essere una sostanza pura non frammista a materia. La materia infatti è potenza, cioè possibilità di divenire e di assumere ulteriori trasformazioni. Ma Dio non può essere un ente potenziale, non ancora determinato, in via di sviluppo o crescita. Dio dunque deve esistere, perchè nel mondo ci sia il movimento e deve essere sostanza incorporea, immobile, pura e assolutamente attuale, cioè perfettamente e totalmente compiuta.


Dio come oggetto del desiderio
Come agisce Dio per causare il movimento? Dio agisce piuttosto come causa finale. Secondo Aristotele, Dio può causare il movimento in un solo modo degno della sua attualità: rappresentando il fine, l'oggetto di amore e di desiderio delle sfere celesti, in particolare del primo cielo, considerato intelligente e vivente. Egli esercita la sua casualità rimanendo immobile: attrae gli esseri come l'oggetto d'amore attrae l'amante. Dio è garante dell'ordine, ma non il creatore dell'universo. L'universo è eterno.


L'anima, principio della vita
Aristotele considera la trattazione dell'anima come un capitolo della fisica. Quest'ultima infatti studia la natura in generale, i principi dell'universo fisico, ma anche gli essere inanimati e animati che lo popolano. In questo concetto l'anima è concepita come forma "incorporata", calata della materia.
Essa è il principio della vita immanente nelle cose animate, strettamente legato al corpo di cui rappresenta la causa formale, efficiente e finale. Il corpo, per Aristotele, è soltanto materia e potenza, che in virtù dell'anima si traduce in vita "in atto": per questo motivo l'anima è unita al corpo in una comunione inscindibile.
Nel trattato Sull'anima, Aristotele esprime la relazione tra l'anima e il corpo, dicendo che "se l'occhio fosse un'animale, la vista sarebbe la sua anima". Esso significa che, come il potere della vista rende l'occhio quello che è, cioè rappresenta la sua essenza, così l'anima attualizza il corpo, rendendolo vivente.
Aristotele riconosce tre diverse funzione dell'anima:
  1. funzione vegetativa= è propria di tutti gli esseri viventi a partire dalle piante e implica il loro nutrirsi, crescere, riprodursi e morire
  2. funzione sensitiva= è propria degli animali e dell'uomo i quali, oltre a nutrirsi e a crescere, sono capaci anche di provare sensazioni e di desiderare
  3. funzione intellettiva= è propria esclusivamente degli uomini, grazie alla quale essi possono pensare, ragionare, parlare e dirigere anche altre forme di vita
Queste tre funzione vitali si dispongono secondo un ordine gerarchico che va dal meno perfetto al più perfetto, dalla vita vegetativa a quella del pensiero. E' nel pensiero che si raggiunge il sommo grado di perfezione e nella sapienza possiamo cogliere le cause ultime e necessarie della realtà.


Dai sensi all'intelletto
Per Aristotele tutta la conoscenza nasce dai sensi: l'intelletto non potrebbe apprendere nulla se i sensi non gli offrissero la materia da elaborare e strutturare. Nel trattato Sull'anima il filosofo è molto chiaro a tale proposito: "Nessuno potrebbe imparare e intendere nulla se non apprendesse nulla con i sensi; e tutto quanto si pensa si pensa necessariamente con immagini". La mente è attiva, attualizza e dà forma alle confuse sembianze che la facoltà immaginativa le presenta. Essa giudica e discerne.
Secondo lui, il processo conoscitivo si svolge attraverso tre stadi tra loro strettamente legati:
  1. conoscenza sensibile= deriva dai cinque sensi, i quali ci permettono di provare le varie sensazioni. Vi è poi il senso comune, da cui dipende la coscienza di tali sensazioni e la possibilità di collegare i dati qualitativamente differenti provenienti da esse.
  2. immaginazione= produce immagini o riproduzioni mentali delle sensazioni ottenute attraverso i sensi. Si tratta di immagini che, pur derivando dalle impressioni sensoriali, permangono in noi anche dopo che l'oggetto che le ha provocate è scomparso e pertanto sono autonome rispetto alle cose sensibili. Strettamente legata a questa facoltà è la memoria, che consente di conservare i ricordi delle sensazioni e delle immagini venendo a costituire la materia su cui si esercita l'attività dell'intelletto.
  3. conoscenza intellettiva= agisce sulle immagini, astraendo da esse la forma intellegibile, ovvero il concetto universale.

L'intelletto attivo e l'intelletto passivo
L'intelletto a un primo livello è solo passivo, cioè ha soltanto la possibilità di cogliere l'universale, ma, come tutto ciò che è in potenza, necessita di una realtà in atto che gli permetta di realizzarsi. Esso è come un foglio bianco su cui non abbiamo ancora scritto nulla, che può accogliere qualsiasi tipo di messaggio. Per questo Aristotele riconosce l'esistenza di un intelletto attivo, che contiene già tutte le forme e i concetti in atto e che, agendo sull'intelletto passivo, gli consente di attualizzare la propria potenzialità conoscitiva.

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